Vicino Celan
Prima di tutto mi chiedo se Marina Pizzi provi interesse per la propria poesia, almeno quanto Francis Bacon abbia amato i propri quadri. Penso che entrambi si siano, in certo momenti della loro vita, riempiti d’amore e di forza barbara per scrivere poesie e dipingere quadri. Perché sono fermamente convinto d’essere davanti, per quanto riguarda Marina Pizzi, a una serie di poesie d’amore. Raccolte, finalmente, dopo alcuni anni di silenzio. Ma il silenzio non fa mai male. Bacon infliggeva profonde ferite ai suoi modelli – stesso gesto compie Marina Pizzi: lo testimoniano tutti i suoi libri. Penso a questi due funamboli, delle parole e del disegno, imprimere accelerazioni improvvise alla ragione, alle mani, e calare dal sistema nervoso che li rende unici, in un unico gesto, qualcosa che viene materializzato. Qualcosa “viene” al mondo, seguendo un venire che ha nei sensi il principale elemento. Come un bacio. Un bacio appassionato, eccitato. Per nessuno dei due occorre molto tempo: quel piegare la materia alla propria visione assomiglia all’orgasmo del fanciullo, violento, privo di seme. Come se subito dopo dovesse andarsene.
Non è difficile percepire nei versi di Il crollo e la cicala uno sguardo capace di stendere i mostri delle nostre notti. La realtà in essi brilla come una cometa, talmente rarefatta che non ci accorgeremmo d’esserne attraversati, tranne che per quella luminosità ceduta dal cielo. La realtà gira su se stessa avvolgendo e rivoltando quanto le sta vicino. I volti non sono deformati, si mostrano come realmente sono. Così si devono vedere i ritratti di Bacon, come visi conosciuti “nell’istante giusto”. E quindi differenti da quelli percepiti nel normale svolgersi del tempo quotidiano. Allo stesso modo leggo queste poesie, e di schianto sento che niente può essere scritto in modo diverso, in quell’istante. Vedo il corpo di Marina allungarsi e flettersi con tutto l’amore di cui è capace. Quasi sempre materializzato sopra un argine di guerra, vicino ai Lungosenna frequentati da Celan. Un corpo che possiede occhi dolci, donati del tutto al mistero del mondo.
La poesia di Marina Pizzi è uno stampo dei crateri occidentali, dei Gulag sovietici, la resa di questo secolo. Proprio perché non si avrà rinascita, ci dice, tento di amarvi più che posso, fratelli. Come Bacon ha coscienza della continua distruzione, che avviene dall’istante della nascita a quello della morte. E per un presentimento di fine, lascia andare l’abbraccio più forte che possa salire, oggi, da parole così puntuali. E’ l’inflessibilità di questo abbraccio frontale a convertire il panico in un giorno finito, lasciato a sé, prima del sonno. Inchiodando un giorno, s’inchioda un tempo. Cadono le viltà. Marina Pizzi non sarà d’accordo con me, ma vedo in tutto questo un sangue rinnovato. Dopo il suo gesto, il suo margine di fedeltà alla parola, la voglia dell’abbandono.
Semplicemente questo secolo terribile è finito. Lei ne è testimone.
Elio Grasso
Vorrei capire che c’azzecca la figura di sotto.
"Mi piace""Mi piace"
Ciò che volevo dire è che mi pare evidente non sia di Bacon. Se mi sbaglio pago da bere a tutta la compagnia 🙂
"Mi piace""Mi piace"