(Casalvecchio Siculo -ME – Chiesa di Sant’Onofrio, “Sacra Famiglia” di anonimo, 1618)
***
Io v’accompagno, madri, in Efeso.
Celebro mormorante da un’altura
di convegno d’ignote creature alate
nel turgore di petrose minne,
perforazioni del presente
schianto nel sonno inavvertito, voi
madri della certezza e del libro
sotto gli angeli barocchi,
madri della pazienza e della perdita
della memoria nel passo quotidiano,
madri dei figli, madri dai tanti figli
senza vostri figli, madri degli uomini
sotto lo stesso lenzuolo,
madri del racconto ripetuto e della predica,
madri nel giusto alzate, una preghiera
che da sola echeggia…
Io v’accompagno, madri,
alle nuove case di ieri,
i luoghi di fatica e di sconfitta, di poca
gioia, premonizione dell’esclusa,
al vero posseduto per coscienza
del legame alla terra come divinità del sempre.
Coltivo da una teoria di torce in processione
i volti del severo vostro tempo, l’unico
scampo d’amore che permane.
***
Può il grigio della crepa
calcarea contenervi, madri,
come un verde appuntito, da spinosanto,
come un medicamento di parola
repetita, un rosario di rossi rossi
nastri alla futile, ma non fertile,
tracimata schiera di noi fuggiaschi.
Può darvi pace questa nostra
dimenticata e confusa voce
di scaglie petrose battenti sul dirupo.
Coi figli morti per nessuna requie
trascende ai viali peloritani un passo
di macinìo smagrito, un dio deserto.
***
Alte, elevate madri sulle alture
sopra i laghi marini o sotto
l’inviso parallelo della peste,
madri lunari o nere che covate
una calda di lana, accarezzata,
mano, v’indigna sempre il male
nel corpo o nello storto labbro
della menzogna. Ci assicura
a una radice che non tollera,
più d’ogni altra pace, la severa
vostra solenne migrazione da una
perdita originaria, dalla pietra
all’asfalto, alla nudità del volto,
che non teme.
***
Nelle rose e nel maggio ricadiamo, madri,
dopo che i punteruoli hanno spronato
i muli verso argini montani,
dopo che uno stiletto ha penetrato
un costato d’agnella.
Per esserci, noi siamo, nel senza
delle urbane movenze, e non osiamo
salire trascendere negare.
Al susseguirsi deliziosamente gridato delle immagini, il bisogno di tendere l’orecchio -ad ogni verso- verso il suono che verrà dalla pietra.
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Che meraviglia!
Fabrizio
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”
Io v’accompagno, madri,
alle nuove case di ieri,
i luoghi di fatica e di sconfitta, di poca
gioia, premonizione dell’esclusa,
al vero posseduto per coscienza
del legame alla terra come divinità del sempre.”
E di questi tempi come non leggere questi versi con un senso di compassione profonda? Poesie bellissime. Grazie
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Con un che di severo, di arcaico, di potente.
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grazie a tutti/e davvero di cuore
da un po’ mi martellava dentro il tema delle madri delle generazioni precedenti e di un mondo semicontadino/semi-industriale
la tela che ho riprodotto e certi incontri recenti hanno dato l’incipit
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Che impressione il costato d’agnella! Bravissimo come sempre, grazie. Vogliamo U’ LIBBRO.
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bellissime queste madri lunari, davvero
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