Un “noir” incalzante, che attraversa come una lama gli archetipi della cronaca nera recente (infanticidio, corruzione politica, inquinamento ambientale, violenza xenofoba) a partire dall’apparente tranquillità di un paesaggio montano da “MulinoBianco”, per mostrare puntualmente il declino generazionale della borghesia italiota (ieri puritana e avidamente risparmiatrice, oggi scialacquona e debosciata).
Ci sarebbe già qui di che sedurre il lettore dei romanzi di genere che cerca il ritmo serrato, la suspence, la conferma degli stereotipi sociologici più che lo scavo nell’interiorità dei personaggi: e troverà tutto questo, perchè De Michele è assolutamente padrone del genere e delle sue regole, ma sarebbe ingiusto confinare qui i meriti del libro. L’autore, saggista oltre che romanziere, tra i teorizzatori insieme al collettivo Wu Ming e a Giuseppe Genna di una New Italian Epic, tenta in questo romanzo un’operazione sofisticata ma molto efficace sul piano espressivo: narrare una vicenda senza mai far uso del verbo essere, a significare il vuoto ontologico che domina la rappresentazione del mondo contemporaneo. L’assenza culturale di una cornice e di un senso compiuto che consentano di definire stabilmente il reale non è più vista come elemento negativo, ma come occasione per un nuovo modello di conoscenza che coincide con una nuova poetica: “frammenti e schegge, storie e racconti, trame putride e trame intessute: molecole gassose che rimbalzano senza pace tra le pareti”, il che non impedisce che il lampo di un fermo-immagine indichi all’intelligenza un sentiero possibile nel turbinio delle cose, qualcosa di sapiente eppure irrappresentabile come la visione di un cieco.
La visione del cieco, Einaudi Stile Libero
(Pubblicato su Letture)
Tout se tient, dicevano gli strutturalisti.
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ot
buone nuove: la vie en beige
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