Se si fosse almeno un indiano, subito pronto e sul cavallo in corsa, torto nell’aria, si tremasse sempre un poco sul terreno tremante, sinché si lasciavano gli sproni, perché non c’erano sproni, si gettavano via le briglie, perché non c’erano briglie, e si vedeva la terra appena innanzi a sé come una brughiera falciata, ormai senza il collo e la testa del cavallo!
Franz Kafka, Desiderio di diventare un indiano
C’era un sogno,
una stella, sapeva
di mare, reti,
fabbriche e sudore.
E c’era un ragazzo
che voleva lottare
con pochi soldi
ed una chitarra di cartone.
Aveva una penna
cui affidare
l’ardore, come
una donna che
gli custodisse il dolore.
Esistevano i poeti,
i cantori, i profeti
e le sue mani erano
farfalle libere nel sole.
Sono passate le maree
senza lasciare conchiglie
tra le alghe ed il suo
cavallo ammansito
reclina il capo sul
fieno amargo
d’uno steccato.
Rimasticato nel cappello
ora abbassa la visiera:
la stella perduta nel
pentagramma confuso
del pensiero dentro i
suoi occhi si confonde al
soprabito di scena.
C’era una volta un indiano
adesso s’è impiegato.
Alla fiera delle cose perdute
tira somme come un ragioniere:
non scontentare nessuno
il suo mestiere.
[Immagine: Franz Krauspenhaar – La peinture à la maison.]
Una ballata incisiva e “vera”, in tempi di pennivendoli e mezze tacche. Chiede una chitarra e di essere cantata.
P.S. Non ho ben capito l’immagine…
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FK vs FK … 🙂
grazie Franz, è una canzoncina venuta fuori ascoltando Joan Baez.
un abbraccio.
ennecì…. naaa, scherzo, ché sembra uno starnuto!
natàlia
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non la chiamerei “canzoncina” piuttosto un’ amara “ballata” (i versi finali sarebbero un ottimo ritornello).
Sapendo di potermelo permettere con la Castaldi 🙂 incollo qui “qualcosina” che mi ritorna in mente leggendo i suoi “disingannati” versi:
Un uomo onesto, un uomo probo,
tralalalalla tralallaleru
s’innamorò perdutamente
d’una che non lo amava niente.
Gli disse portami domani,
tralalalalla tralallaleru
gli disse portami domani
il cuore di tua madre per i miei cani.
Lui dalla madre andò e l’uccise,
tralalalalla tralallaleru
dal petto il cuore le strappò
e dal suo amore ritornò.
Non era il cuore, non era il cuore,
tralalalalla tralallaleru
non le bastava quell’orrore,
voleva un’altra prova del suo cieco amore.
Gli disse ancor se mi vuoi bene,
tralalalalla tralallaleru
gli disse ancor se mi vuoi bene,
tagliati dei polsi le quattro vene.
Le vene ai polsi lui si tagliò,
tralalalalla tralallaleru
e come il sangue ne sgorgò
correndo come un pazzo da lei tornò.
Gli disse lei ridendo forte,
tralalalalla tralallaleru
gli disse lei ridendo forte,
l’ultima tua prova sarà la morte.
E mentre il sangue lento usciva
e ormai cambiava il suo colore,
la vanità fredda gioiva,
un uomo s’era ucciso per il suo amore.
Fuori soffiava dolce il vento
tralalalalla tralallaleru
ma lei fu presa da sgomento
quando lo vide morir contento.
Morir contento e innamorato
quando a lei nulla era restato
non il suo amore non il suo bene
ma solo il sangue secco delle sue vene.
(F. De Andrè, La Ballata dell’amore cieco)
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un bacio ad Abele ed uno a Meretrix… bellissima la ballata di De André.
muchas gracias.
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È inutile come il mattino dopo un sonno senza riposo
rincorrere l’ombra d’un sentiero di cipressi lividi
infilando perline ad una collana spezzata
intorno al collo della negligenza
succube di parole morte nella notte senza afa
la fede spezzata in un crocicchio di quesiti
senza attese si deforma allo specchio di mille maschere di zucchero e sale
***
Se la luce è trasparenza a cosa serve questa patina dorata?
***
In bianco e nero amo guardare il vero delle cose
nel grigio smorto delle nebbie al camminare degli scarponi
antinfortunio detratti a rate dallo stipendio aziendale.
***
Alle cinque cantava la sirena il richiamo delle anime
trascinanti corpi assonnati che evaporavano odori di letto e figli.
Seduta a studiare diritto internazionale la osservavo passare in fretta
e sognavo un avvenire che mi facesse ricordare il suo nome
ma una mano scrisse una legge, poi perì nel sangue.
***
Nessuna luce ancòra dal mio balcone è degna dei colori
del reale
***
Si mischiano le pelli dei sottopagati nel sudore appeso
a mezz’aria dal suolo senza funi né ripari.
Cartellini da timbrare con contratto interinale
e domani un nuovo mestiere per bestiario
di pretese, ma ubriachi marci al week-end affogheremo la frustrazione
col jeans nuovo griffato come uno statale.
***
Poi si scopa la prima venuta senza impegno
che non vale la pena investire a rate su un futuro
quotidiano, basta la macchina con lo stereo alto
a soddisfare il preconfezionato orgasmo.
***
La preghiera del padre si disegna agli angoli d’una bocca da sfamare
nei crampi d’uno stomaco vuoto d’amore
che brama leccornie da consumare in fretta
per mondare gli interstizi dei denti dagli avanzi di fragole mature
lievi come il mulinare del vento per un marinaio nato in camicia
che mille lidi attraversa sempre appeso alla sua rammendata tela
che perde il vento dalle toppe dei suoi miseri inganni.
Buonanotte e grazie per l’accogliente ospitalità, Lucifero
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la foto non ha alcun nesso col testo.
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il nesso sta nell’amicizia e nella stima che fa unire due diverse espressioni artistiche, e a proposito della “FranzArt” … mi ricorda tanto l’uso delle stoffe e delle toppe operato da Rauschenberg ed Oldenburg …
p.s.: e poi in questo contesto fa tanto di Old America. 🙂 (sempre grazie Franz)
lucifero.
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* sa tanto di … Mon Dieu!
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