Il Piccolo manuale di spiritualità è una specie di test: serve a capire quanto siamo stati fagocitati dalla superficialità imperante o se abbiamo acquisito la capacità – o meglio, ricevuto il dono – di fermarci, accedere a una zona di silenzio, aprire il cuore a un messaggio più denso di quello dei mass media, il messaggio dell’amore vero.
Bisogna sfondare i sensi, dicono i Padri. Ciò è possibile solo se accediamo al nostro vero sentire: il desiderio più intenso – spesso deviato – viene rivolto, finalmente, nella giusta direzione.
Tutti i lettori più sensibili ci hanno fatto la stessa confidenza: al primo impatto ci è sembrato difficile; poi, leggendo e rileggendo, è stato come se si aprisse la mente, anzi, il cuore. Si entra, così, nel ritmo giusto di lettura: un paragrafo alla volta, negli interstizi della propria giornata, per impregnarla dello Spirito.
Non abbiamo scelto una linea dogmatica, quella delle definizioni: il criterio è fenomenologico, la declinazione della vita spirituale nella ferialità del quotidiano, la trasformazione di pensieri, parole e azioni al contatto con la profondità dell’amore. Ne nasce una descrizione dei criteri esistenziali di chi aderisce alla dimensione dello spirito, secondo il noto elenco di san Paolo nella Lettera ai Galati (5,22): “Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”. Oggi ci sono varie proposte, nel campo della spiritualità, ma poche entrano nel nucleo incandescente dei principi vitali, che ciascuno di noi può fare suoi se decide di aprirsi alla luce necessaria per fare verità nel cuore, alla forza e alla grazia che consentono di oltrepassare le resistenze e la paura, affinché tale verità, chiaramente svelata, sia pienamente accolta e condivisa.
Ne risulta un vademecum alla portata di tutti, nel momento in cui si attinge all’immagine di Dio che siamo. Il libretto è per chi non ha fretta, perché sa che il successo esistenziale richiede di donare qualcosa che non vogliamo più perdere, il tempo: dimenticandolo, finiamo col perdere la vita.
Il Piccolo manuale, dunque, è un progetto di esercizi spirituali sempre attuale, fatto per chi coltiva in sé un desiderio di conversione concreta. Il primo annuncio di Gesù è stato questo: cambiate, cioè, amate. Speriamo di aver dato un nostro, infinitesimale contributo.
“a saperlo (allora!) che “quelli” erano i giorni felici, lo sarebbero stati ancora di più? Oppure – di meno? Oppure – infelici – del tutto?”
Ci arriviamo tutti credo a questa domanda e penso che bisogna accontentarsi di sapere che abbiamo avuto giorni felici.
Un saluto Roberto.
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Secondo me “di più”, perché sapendolo si sarebbe fatta una bella scrematura fra gioie autentiche e sofferenze inutili, e si sarebbero evitate queste ultime, e si sarebbero valorizzate di più le prime.
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E come la mettiamo, cara Nadia, contentature a parte, con la sentenza “Nessun maggior dolore/ che ricordarsi del tempo felice/ ne la miseria”, tagliente come una mannaia?
Ed è davvero possibile, cara Anna,
proporre una… “algoritmica” del sentimento e del ricordo?
In realtà credo si trattasse di una domanda retorica: di quelle che non riusciamo a imporci di non fare, ed a cui non riusciamo a dare risposte che non mutino di momento in momento.
Grazie e un caro saluto,
Roberto
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ma si può anche ricordare il passato come “calor di fiamma lontana”: senza abbassare la testa, senza dimenticare selettivamente, mettendo da parte gli (a volte inutili) ardori giovanili, restando noi stessi, nel cambiamento. amando il cambiamento.
dell’apologo mi colpisce in particolare che un “motivetto che ci piace tanto” venga a perseguitarci, come segno di rimbambimento (come sono delicata, oggi!). no, perché, da tre giorni canticchio sempre lo stesso, e mi fa proprio impressione.
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Cara Lucy,
no, non è un “motivetto che ci piace tanto”, e siccome sto diventando spudorato (!) altri sono in arrivo su queste pagine.
Il bello è che ero un bambino/ragazzo senza televisore e sdegnoso delle canzonette, che non ascoltavo, tranne pochissime che avevano ai miei occhi meriti speciali.
Ad un tratto, non so quando non so come non so perché, mi sono entrate dentro tutte, e alcune risuonano con insistenza sospetta.
Me le sento un po’ come i compagni di Childe Roland nel poema di Browning (ricordi?
“levati in piedi, sparsi lungo il pendio[…] Fasciati di fiamme” ecc), venute ad assistere alla mia remota e ipotetica illuminazione, ovvero alla mia imminente e certissima esecuzione.
Grazie e ciao,
Roberto
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Le addizioni-sottrazioni non hanno mai fatto per me.
Non credo esistano: un *metro di misura*, un *termine di paragone* – per la gamma emotiva. E, sicuramente, sbaglio. Pure, sicuramente, sicura: sarei infelice nel canticchiare “I miei giorni feliiici li ho vissuti con teee”, sarebbe felicità cantare ” I miei giorni feliiici
li ho vissuti con meee”.
L’espressione che non mi riesce.
E che auguro ad Erre, ad ogni Essere Sé [ e senza ma ]
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Cara Chiara,
secondo alcuni cantare
”I miei giorni feliiici
li ho vissuti con meee”
non è riuscito neppure (absit iniuria) al Padreterno: niente di strano che non ci riesca tu.
D’altra parte non credo neppure che questo sarebbe in assoluto auspicabile: meglio che nella felicità insieme all’altro noi si sia in qualche modo presenti: presenti all’altro, come a noi stessi.
Un caro saluto,
Roberto
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