di Grace Paley
Stavo per scrivere una poesia
invece ho fatto una torta
ci ho messo
quasi la stessa quantità di tempo
certamente la torta è conclusiva
come azione una poesia dovrebbe fare
ancora molta strada giorni e settimane e
un bel po’ di fogli accartocciati
la torta ha già una sua affabile
platea impaziente tra i piccoli
camioncini e la pompa dei vigili
sul pavimento della cucina
questa torta piacerà a tutti
con le mele e i mirtilli rossi
e le albicocche candite
molti amici
diranno
ma perché mai
ne hai fatta una sola?
non succede con le poesie
per incomunicabile
tristezza ho deciso
stamane di parlare
ad ascoltatori sensibili non
voglio aspettare una settimana un anno una
generazione che giunga il giusto
consumatore.
***
L’originale è qui.
***
L’albero nel libro è realizzato da Gartenkultur.
ammazza, questa sì!
è leggibile alla lettera oppure rovesciata: una bella metapoesia che dà un pugno ai poeti e uno schiaffo ai lettori, a seconda di come la si vuole interpretare. fare una torta è tuttavia poesia. non ci si può nutrire di torte, eppure dio sa se ne abbiamo bisogno: di farne e di mangiarne.
grazie.
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una forma di dadaismo. un’antiarte combattuta (o in alternativa, come dal titolo) con un’altra arte, quella pasticciera, un’arte contro la guerra del cuore torvo.
un’arte per la gioia, per la vita, per la relazione.
la pasticceria come azione politica, come strategia che produce l’ormone del benessere
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Buona! 🙂
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semplice buona metafisica
da assaporare
c.
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Anche stare al mondo è una poesia e, a volte,non ti leggono nemmeno.
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piaciuta molto, grazie.
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Solita metalagna.
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ottima, per tutti quelli ancora con l’aureola! Grazie >Renata, sempre grande fiuto nei tuoi lavori
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“non capisco i registi che vogliono fare dei loro film dei pezzi di vita(tranche de vie). I miei sono pezzi di torta”
(Alfred Hitchcock)
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la torta metalagna nel gusto ci guadagna!
😀
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Davvero comprensibilissima. E una torta, oltre a esser dolce, deve capirsi! Già.
Saluti.
Giampaolo
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A ciascuno il suo.
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a ripensarci, e a rileggerla, non è tutta questa gran cosa. voglio dire, il poeta sembra voler ironizzare sulla poesia, in realtà si sente che è falso. paragonare una poesia a una torta è un operazione trendy e minimal. ma non ci siamo.
se la poesia viene prese a sputi in faccia (ogni poesia ne ha una) mi puo’ anche piacere, purchè lo si faccia con convinzione e sincerità.
ma questa storia della torta… mi sembra una poesia per tisaniere, ecco.
capisco che possa piacere, alla prima lettura era piaciuta anche a me: ma siamo sempre dalla parte delle masturbazioni, della metalagna, appunto, come ha rilevato elio. il poeta non esce fuori dal suo tinello (o forno, in questo caso.)
mi piace l’understatement, ma qui la torta è venuta piuttosto insipida.
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ciò che trovo “chiuso” è il tinello di chi non osa neppure scriverci poesie (il poeta, ma chi è il poeta? dove abita?), versi (non a caso si parla di consumatori, magari i “classici” consumatori di poesia “assoluta”!) – e questa poesia qui ironizza proprio su questo, lì è la sua forza, mica sulla torta e i suoi ingredienti.
mio parere.
g.
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Trovo che in certi casi sarebbe meglio fare torte [appunto!] piuttosto che scrivere poesie.
A ciascuno il suo.
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ho scelto di postare questa poesiola di Paley, che non per nulla è stata grande narratrice, perché me ne piacevano due, tre cosette:
la perplessità davanti alla natura non-narrativa della poesia (a che serve un testo che è pura lingua? o pura esibizione dell’io? una azione non esattamente riscontrabile nel reale, insomma?), che la ascrive nella lunga (e a volte petulante, va detto) tradizione delle poesie che si vergognano dell’inutilità della poesia
l’individuazione del mancato incontro tra atto di parola (che, in via di principio, vorrebbe essere “significativo”) e “gesto” materiale (nutrire qualcuno, fare una carezza, parlare con gli amici: questi sì che sono gesti, sembra dire), un gap che affonda nell’ormai plurisecolare alienazione dell’intellettuale, da un pezzo non più organico, per dirla in termini gramsciani
la piccola rivalsa di chi riconosce, a malincuore, la natura ornamentale, periferica, della poesia oggidì, e si prende la soddisfazione (minima, per carità) di riarmare quell’accessorio di dispettosa seduzione. Ovvero: se il libro in casa è un soprammobile tanto vale farne un porta-vaso (vedi immagine); se, dopotutto, è più utile darsi alla pasticceria che scrivere, ecco che scrivo una poesia di me che faccio una torta (e quindi: NON faccio una torta, ma scrivo una poesia, tiè).
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ben detto
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