La campana suonò le diciannove. Il Natale era a sole cinque ore e io ero seduto nella stanza davanti all’immagine del Cristo, a interrogare il futuro che ancora non voleva palesarsi. Ero un monaco di un’altra civiltà, chino sul tavolo ingombro di libri, penne, appunti sparsi. Da un momento all’altro, nel silenzio surreale, sarebbe arrivata la notizia intorno alla quale avevamo sognato così a lungo. Mi perdevo negli occhi di Gesù, nella luce misteriosa che emanavano, come se a un tratto dovesse arrivarmi una parola, un segno, la certezza che lui ci fosse in corpo, sangue, anima e divinità, come tante volte mi avevano insegnato. Solo fissandolo negli occhi trovavo il coraggio di presentarmi in campo, sentivo il cuore battere, infiammarsi, come in un sussulto di memoria, un’idea platonica, un archetipo che emergeva dall’inconscio. Capivo sempre meglio le parole di san Paolo: non sono più io che vivo; dove in quell’io si annidava il deposito di male proveniente dall’orgoglio, dal peccato, come se la vita prendesse la rincorsa e trovasse finalmente pace nella ormai necessaria conclusione: è Cristo che vive in me, mi trasmette la forza di lottare, di credere, di esistere. Era l’immagine che prendeva il posto di qualsiasi altra figura nell’universo debole, ignobile, malato delle illusioni umane, la caparra del mondo nuovo che bussava alle porte come un mendicante, un pellegrino, il viandante straniero che un bel giorno ti si ferma accanto e racconta la tua storia.
Come mendicanti bussammo alla porta e il Cristo ci apri` spalancandoci le braccia!
Grazie, Fabry
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Tutto passa e tutto rimane
però il nostro è passare,
passare tracciando sentieri
sentieri sul mare.
Mai ho cercato la gloria,
né di lasciare il mio canto
alla memoria degli uomini;
io amo i mondi lievi,
sottili, gentili
come bolle di sapone.
Mi piace vederle quando si colorano
di giallo e carminio, volare
sotto il cielo azzurro, tremare
d’improvviso, poi rompersi.
Mai ho cercato la gloria.
Caminante* sono le tue orme
il sentiero e null’altro;
caminante non c’è un sentiero
il sentiero si fa camminando.
Camminando si traccia il cammino
e volgendo lo sguardo alle spalle
si vede il sentiero che mai
si deve tornare a calcare.
Caminante non c’è un cammino
ma segni nel mare …
Qualche tempo fa in questo luogo
dove oggi i boschi si vestono di spine
si sentì la voce di un poeta gridare
“Caminante non c’è un sentiero
il sentiero si traccia camminando…”
Colpo su colpo, verso su verso …
Morì il poeta lontano dal focolare.
Lo copre la polvere di un paese vicino
Al momento dell’addio lo videro piangere.
“Caminante non c’è un sentiero
il sentiero si fa camminando…”
Colpo su colpo, verso su verso …
Quando il cardellino non può cantare
quando il poeta è un pellegrino.
Quando a nulla ci serve pregare.
“Caminante non c’è un sentiero
il sentiero si traccia camminando…”
(…)
Caminante* sono le tue orme
il sentiero e null’altro;
caminante non c’è un sentiero
il sentiero si fa camminando.
Camminando si traccia il cammino
e volgendo lo sguardo alle spalle
si vede il sentiero che mai
si deve tornare a calcare.
Caminante non c’è un cammino
ma solo segni … incisi nel mare …
Antonio Machado
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…Se non avessi Giobbe!
Io non lo leggo con gli occhi come si legge un altro libro, me lo metto per cosi dire sul cuore…
Come il bambino che mette il libro sotto il cuscino per esser certo di non aver dimenticato la sua lezione quando al mattino si sveglia,così la notte mi porto a letto il libro di Giobbe.
Ogni sua parola è cibo,nutrimento e balsamo per la mia povera anima.
(S. KIERKEGAARD)
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Bellissimo il messaggio d’amore e di speranza che segue leggendo il capitolo.
Guardando Gesù: è Lui che infiamma il nostro cuore e non si può descrivere l’incontro con minuzia di particolari se non è realmente avvenuto, se non è frutto di una lunga esperienza di fede viva, vissuta ogni giorno con tenacia e desiderio,dalla quale scaturisce il “protocollo operativo” per intercettare lo Spirito Santo che ci unisce saldamente a Lui.
Grazie per questo prezioso Dono.
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È questo in fondo l’unico coraggio che si richieda a noi: essere coraggiosi verso quanto di più strano, prodigioso e inesplicabile ci possa accadere
Lettere a un giovane poeta. R.M. Rilke.
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Ho letto, non dico nulla, ma trascrivo a commento del racconto di Don Fabrizio i versi scritti la notte della Vigilia di Natale, mentre commossa ponevo sulla mangiatoia la statuetta di Gesù Bambino:
Natale ed Epifania
Un sussulto d’amore
dopo un arido gravame
di anni solcati dal dolore
mi ridona la speranza
nel Suo sguardo
che ritorna dal passato;
nella vita che mi resta
e nell’altra che c’è forse,
ma di cui non sono certa
Solo aspetto, anch’io
guardando con stupore
quelle mani piccoline,
ma di un Dio,
che si tendono ai fedeli
sotto gli occhi dei pastori
Presto arriveranno i Re
delle Scritture e sarà
una grande festa con l’oro
con l’incenso e con la mirra
Li invidio tutti e tre, sempre uguali
col vestito di ceramica dipinta
col cappello prezioso dei Reali
e lo sguardo fisso sul Bambino
nell’attesa fiduciosa di Parole
e del gesto di salvezza
a conferma e come premio
della fede nel Futuro.
Mi piacerebbe leggere il tuo giudizio, Don Fabrizio. Prometto di tenerlo da conto, come quello dell’editore (religioso, ma a modo suo) al quale ho mandato i suddetti versi via mail a completamento di una raccolta di poesie (erano 99) che raccontano il mio lungo, a volte fiducioso, a volte ribelle, dialogo con Dio.
Intanto auguri e preghiere per te da una che, anche lei come l’editore, ha uno spirito religioso a modo suo.
Carla Spinella
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