I proverbi sono utili, li ha usati anche Gesù. “Nessuno è profeta in patria” è un detto antico e sempre attuale. Perché fra patria e profeta non c’è accordo?
La prima tende a conservare, a dare sicurezza. Casa dolce casa, è un proverbio anche questo. Se uno è a disagio si sente fuori luogo, come un pesce fuor d’acqua, un cavolo a merenda, espatriato, insomma. L’uomo non vive senza patria, e guai a chi gliela tocca (come la corona di Napoleone). È il grembo materno, l’alveo in cui trovare ciò che è noto, familiare, e per questo rassicura.
Poi arriva il profeta e mette tutto in discussione: scardina principi, sconvolge la mentalità, mette in crisi i poteri. Il minimo che si possa fare è portarlo sul ciglio di un burrone e cercare di buttarlo giù, come accadde al Cristo nella sinagoga di Nazaret. Il tentativo fallì: non si muove foglia che Dio non voglia, si suol dire.
Si dà anche il movimento contrario: la nostra patria è nei cieli, come dice la lettera agli Ebrei. Il cielo è Dio, la fede. In questo senso, abbiamo soltanto una certezza, quello che un tempo chiamavamo – e ancora oggi, almeno noi, chiamiamo – il “depositum fidei “, cui si potrebbero accostare – adattandole – le parole pronunciate da Napoleone il ventisei maggio del milleottocentocinque: Dio ce lo ha dato, e guai a chi ce lo tocca.
Non passerà neppure un iota o un apice della Legge, dice Gesù. Di questi tempi, dovremmo farne un proverbio. La nostra patria è la verità, senza di lei siamo cavoli a merenda, pesci fuor d’acqua. Ma l’unico pesce capace di vivere fuor d’acqua è l’Ἰχθύς, che, come molti sanno, è l’acronimo di “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”. È lui la nostra Patria, e guai a chi ce lo tocca.
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