In primis mi soffermo su quanto affermano alcuni cristiani che declinano il loro amore per Dio dicendo “di essere innamorati di Gesù”. Quanti gruppi pullulano in alcune chiese di Roma (e non solo) ad esprimere con canti improvvisati, smorfie strane, tensioni corporee molto vicine a una sorta di orgasmo sublimato, imposizioni reciproche di mani, manie narcisistico-compulsive e via discorrendo, questa sorta di “innamoramento” dionisiaco. Lo stesso Papa Francesco non può che esprimere forte preoccupazione per questi eccessi. Io mi domando: “si può essere innamorati di Gesù?” Se con questa espressione si intende dichiarare la propria assoluta ardente dedizione alla causa di Gesù (che nulla ha a che vedere con sentimentalismi di bassa lega), alla sua cura degli ultimi, alla sua sete di giustizia, l’espressione è più che lecita. Ma se si intende (come nei casi sopra-citati) un innamoramento vero e proprio per la persona di Gesù, nella sua fisicità e nel suo carattere, a mio parere ci si trova di fronte a qualcosa di superficiale o peggio di malsano.
A differenza per esempio di Socrate di cui si hanno diverse sculture quasi coeve e tutte consonanti nel presentarlo con il naso camuso, la barba, l’ampia fronte, la tunica e i calzari, la persona fisica di Gesù non è in alcun modo ricostruibile, sicché ognuno pensando a lui non fa che esercitare la sua immaginazione proiettando nella mente il proprio personalissimo Gesù. Peraltro Niccolò Cusano, filosofo neo-platonico del nostro Rinascimento, secoli fa affermava che non solo l’aspetto fisico, ma anche la personalità di Gesù non è ricostruibile dato che essa è diversa in ciascuno dei quattro Vangeli. L’autentico Gesù della storia, l’ebreo Yeshua ben Yosef, sarà stato più vicino al Gesù di Marco o al Gesù di Giovanni, al Gesù di Matteo o al Gesù di Luca, così diversi tra loro e a tratti persino opposti? Inoltre può darsi, come sostiene il teologo Vito Mancuso, “[…] che Yeshua non volesse poi tutti questi innamorati e innamorate accanto a sé, lui che spesso schivava le folle per ritirarsi da solo a pregare”. (Vito Mancuso, Io amo – Piccola filosofia dell’amore, Garzanti, Milano 2014)
Che cosa vuol dire quindi amare Gesù? Che cosa ama chi dice di amare Gesù? Rispondo citando Simone Weil: “tutto ciò che io faccio è cattivo, senza eccezione, compreso il bene, perché io è cattivo. Più io sparisco, più Dio è presente in questo mondo”. (Simone Weil, Quaderni, vol.II, Adelphi, Milano 1997)
Se potessimo cancellare l’IO e il MIO dalla religione, dalla politica, dall’economia etc. saremmo davvero liberi, lucidi di intraprendere il cammino verso una matura consapevolezza dell’esistere gli uni insieme agli altri, esseri animati e inanimati, creature tutte con eguale dignità.
Questa è in sostanza la causa di Gesù, un percorso scomodo, impegnativo che comporta tanta reale attenzione. Forse per tale ragione sono veramente pochi coloro che prendono Gesù sul serio, al di là dei riti e delle processioni… Pochi lo scelgono, molti lo odiano, altri fanno finta di ignorarlo.
Il nostro don Fabrizio Centofanti in una delle sue pagine quotidiane scrive testualmente: “la poesia piace a pochi come Gesù”. Il paragone mi pare molto calzante. In effetti tutto quel che ho scritto ne è la conferma. Anche la poesia non cerca una miriade di innamorati mossi solo da futili emozioni estemporanee. La poesia è silenzio, ascolto, impegno difficile e continuo contro le catene della funzionalità. E’ una fonte di innocenza carica di risorse rivoluzionarie contro la prostituzione della nostra società globale. Forse per questo piace a pochi come Gesù.
A seguire due miei testi su Gesù e il Natale con i miei più cari auguri
Gesù
Non ha il suo volto tratti visibili,
è come noi lo vediamo. Come un’aquila,
un uomo. Senza orme. Reale. Assieme
agli agnelli scampananti e sparsi
Risponde al nemico senza armi
predicando amore nel deserto,
dove a sentirlo è come averlo udito
nell’attimo infinito a concepirne il senso
Camminando sull’acqua portata
dal suo peso rende la vista sostanza
che si srotola su questa paura nostra
di giunchi che una ditata spezza
In sogno è il piccolo Gesù in fasce
che gli appare, con la Madre la cui
muta sofferenza si nutre di se stessa
nel mistero
Pochi lo scelgono con l’attenzione
stupita che commuove, come bambini
su un campo scolare quando cade
il primo biocco di tiepida neve
(Inedito)
*
Non li avevo visti gli zampognari
a Matera
nella settimana di Natale
e nessuno aveva saputo dirmi perché
non fossero venuti, ma ecco che alla Befana
sono arrivati per salutare il presepe vivente,
con i loro mantelli neri e gli stivali.
Le zampogne hanno il suono delle cascate
e delle nuvole, come i miei pensieri.
Accolgono un mistero.
Degli amici rimasti, qualcuno sta per morire,
e anch’ io potrei far parte dei più che se ne vanno,
con le ombre che girano sopra la meridiana del giorno –
eppure le zampogne incedono solenni
come se non le toccasse nessuna delle cose
mortali.
Talora persino le chiese rupestri
scompaiono nella foschia del primo mattino
come gli amici, a poco a poco,
ma, più la morte sorprende, più profondo è l’affetto
e difficile la vita.
Perciò sono felice che le zampogne siano tornate
come fa un ricordo, come una consuetudine.
Dalla raccolta poetica Dolore dei Sassi, postfazione di Manuel Cohen,
puntoacapo, Pasturana (AL) 2015
Ringrazio la poetessa per queste acute riflessioni e per la profondità e la dolcezza delle poesie. Mi sono ricordato di una poesia religiosa di Trilussa che riporto: Davanti ar Crocifisso d’una chiesa / una candela accesa se strugge da l’amore e da la fede./ je dà tutta la luce, tutto quanto er calore che possiede, / senza abbadà se er foco la logora e la riduce a poco a poco. / Chi nun arde nun vive. / Com ‘è bella la fiamma d’un amore che consuma, / purché la fede resti sempre quella! / Io guardo e penso. Trema la fiammella, / la cera cola e lo stoppino fuma…
Bisogna consumarsi per avere una fede autentica così come scrivere una poesia che lasci il segno. Perdere per trovare. Mamma mia è difficile, eccome se è difficile!
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Grazie! Bellissima la poesia di Trilussa!
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