Ho incontrato Domenico Dara in occasione di una presentazione a Roma, alla libreria I Trapezisti, condotta con grande emozione e competenza da Simona Aversa. Per me è stata un’occasione per toccare con mano quello che si evince dai suoi romanzi: è una persona con un’anima molto profonda e riesce a creare atmosfere dense di sensazioni, sentimenti, emozioni anche in una stanza gremita di gente, e non solo fra le sue pagine.
Domenico mi ha parlato del suo “mestiere”, dei suoi personaggi, mi ha raccontato un aneddoto sul suo primo romanzo (che mi ha molto stupito) e ha anticipato una bellissima sorpresa.
Domenico, tu vivi di scrittura, è il tuo mestiere principale? (Lo so, è una domanda retorica, ma non potevo non farla, spero sempre che qualcuno smentisca).
No, assolutamente no. Penso che siano pochi quelli che riescono a vivere di scrittura, io faccio anche altro.
Quando e dove scrivi?
Quando posso, nel senso che con un altro lavoro, una famiglia, tre figli… L’impresa è ritagliarsi un po’ di tempo, quindi quando ho tempo (la notte, la mattina appena sveglio), ho dei buchi, scrivo.
Hai dei rituali, delle scaramanzie legate alla scrittura?
Ogni storia, quando inizio a scrivere una storia, deve avere una sua agenda. Ogni storia deve avere un suo spazio.
Le tue idee come diventano romanzi che hanno una struttura così precisa ed equilibrata?
Io scrivo per accumulazione. Parto da un’idea e poi come dei cerchi concentrici parto da quell’idea e inizio a raccogliere materiale, gli articoli di giornale che io già archivio da tanti anni, gli appunti di lettura; da un’idea iniziale poi tutto questo materiale viene ricostruito. Continua a leggere →
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