Mettono gioia tra i rami d’inverno i nidi
Non hai risposto ancora alla domanda
«D’inverno, mettono gioia, tra i rami, i nidi?»
Hai finalmente una risposta pronta
o attendi un’altra estate e i suoi ricordi?
Sorridi, la nuca poggiata sul mio petto
I piedi nudi immersi nell’azzurro
La nube d’oro cela ali fuggenti
Tra quelle foglie lampi di cielo
Questa è l’Estate non dimenticare
Quella che arriverà sarà l’Estate
E allora rispondi, attenta, alla domanda
«Mettono gioia tra i rami d’inverno i nidi?»
*
D’improvviso ho lasciato
a M.
D’improvviso ho lasciato questo
mondo ipocrita. L’ho fatto in quel
modo con cui un pettirosso vola via
da un ramo comodo e si posa su un
altro vicino per lasciarlo ancora e
ancora così da un albero a un altro
fino a comprendere la comodità del
volo. Fu come se in quell’istante
cominciassi a capire le ali e queste
mi portassero via lontano dai rami
con voli sempre più alti in salvo
*
La poesia è una ghiandaia…?
La poesia è una ghiandaia[1]
che scompare tra i rami
o è il colpo d’occhio,
che tra un frullare d’ali
rapidissimo e delle foglie
scorge cadere una piuma nerazzurra?
Forse è ancora meno e più lontano:
l’alito profumato di una pantera[2]
nella notte che nera permane nel bosco
dove si è nascosta a chi la cerca
*
“Ancora più ostinato”[3]
Sotto le carezze d’ala della ghiandaia
avanza rotolando l’autunno pietra d’arancio
Stringe la sua stretta d’arcobaleni e nebbie
Inonda la pianura di funghi e di castagno
Le coltri soffiate dagli aironi vestono le mura
La ghiandaia-foglia plana e diventa bagolaro
L’autunno rotolando dai colli giallo ocra
inonda di funghi e di castagno la pianura
*
Un battito d’ali
Non danza, la gazza, una danza taoista
seppure vestita di bianco e di nero.
A tratti scompare e compare alla vista
in cerca del prossimo ramo sicuro.
È un’alba a Ferrara di brividi e brine
l’inverno si lascia intuire che avanza
dal rosso e dall’ocra tra nebbie azzurrine
dal bianco e dal nero su un ramo che danza.
Beccheggia la gazza sul ramo che oscilla
sospendo il mio passo nebbioso e autunnale
m’ormeggio alle mura, osservo ed attendo.
Un guizzo è la causa? È un effetto il fruscio?
Silenzio, mio cuore, non mi tradire
C’è ancora per battere, aspetta a morire.
*
A jay
In Villa Fulvia a bold jay cracks,
and when with my terrier I walk
dark-blue, gently, white it barks
A Villa Fulvia schiocca spavalda una ghiandaia,
e quando vado a spasso col mio terrier
bianco, gentilmente, nerazzurra abbaia
*
Note dell’Autore
[1] Il verso si richiama alla nota definizione che Wallace Stevens dà della poesia: Poetry is a pheasant disappearing in the brush (La poesia è un fagiano che scompare nel sottobosco).
[2] C’è comunque una definizione ancora più antica che richiama la stessa immagine ed è quella di Dante, che usa la figura allegorica di un animale raro e selvaggio, la pantera, per rappresentare la lingua poetica.
In ogni caso, qui, tra i rami, nel sottobosco o nel bosco delle «cose», noi tutti tentiamo questo faccia a faccia con l’animale.
[3] Il titolo è tratto da Arcipelago autunnale di Tomas Tranströmer.
*
Giuseppe FERRARA, dalla raccolta inedita Alberi & uccelli
Il secondo testo, D’improvviso ho lasciato, è pubblicato in Il peso e la grazia (96 rue de-La-Fontaine, 2018)
Immagine: Albrecht Dürer, Ala di ghiandaia, acquerello, 1512, Graphische Sammlung Albertina (Vienna)
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