
La mia messe
Tra gli uomini
c’è chi coltiva sogni in inverno, perché sboccino coi fiori in primavera,
chi coltiva sogni in estate
perché nascano come sole sulle rive.
Io invece
i sogni li coltivo
in autunno tra le braci
e li stacco coi denti
al fuoco.
La poesia araba riserva sorprese. Questi versi racchiudono in poco spazio l’universo dei sogni, il colore delle ambizioni, spesso delle velleità, l’inarrestabile e insopprimibile volo del desiderio umano. Sta al lettore decifrare i simboli proposti: i sogni coltivati in inverno “perché sboccino coi fiori in primavera” parlano della fatica necessaria al raccolto, la concentrazione delle giornate fredde perché tutto si sciolga nel miracolo primaverile.
I sogni coltivati d’estate fanno pensare alla cicala della favola, che non concepisce e comunque respinge la focalizzazione per lei folle della formica, e preferisce visioni ben più riposanti di spiagge assolate.
Ma il vero strappo sono i sogni d’autunno del poeta: coltivati “tra le braci”, li stacca “coi denti / al fuoco”. Ognuno di noi, in fondo, ingaggia questa lotta con i sogni, che ci indicano la strada della profondità, ma richiedono una spoliazione dolorosa, un deporre le abitudini che sono spesso, appunto, ambizioni fuori luogo e velleità.
Ancora una volta, la poesia ci mette davanti a noi stessi, e ci invita a trovare la nostra vera strada.
Bellissimo il tuo commento a questi versi!
Grazie.
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Vivere in pace con se stessi e con il mondo non è forse la più grande delle ambizioni?
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