
In morte di mio padre e di mia madre
3
Ora dunque giunti, approdati a tanta
chiarezza, ora che paura più non li adombra
e le anime dei figli le vedono
dal di dentro, e leggono i giorni nudi
e sanno più che profeti il mistero, ora che vita e morte ci hanno
tramandato, alfine usciti
di solitudine, ove più non trincerano
studi e passioni; e tutto
è semplice, disvelato; ora
non vale più che a lungo trascini
segreti il cui peso non posso più reggere.
O parenti miei, in vita io vi dicevo
solo di cose pacifiche e dolci;
pure senza mentire io vi parlavo
di lieti messaggi e agevoli incontri,
di lacrime asciugate e rassegnazioni
sante; vi narravo di campi arati
con fatica, ma colmi di rugiade,
di messi… O miei parenti, finalmente
siete morti.
Ed invece il cuore mi urlava dentro
come una selva sotto la bufera,
e il sangue come mare irato.
Era la vita che mi deste, aperta
a tutti i venti, uguale
alla terra che ora vi copre,
alla terra ghiaiosa, avara,
irrigata dal diuturno sudore,
terra che diede né pane né biada
bastante alla fame dei figli.
Vita che amai solo perché vostra,
come voi amaste quel paese triste degli avi.
Ed allora sognai altre vite
migliaia di vite, pellegrino
di strade interminabili. Allora
m’adornai di fiori e di canti.
E feci di me una riviera,
ove le più dolci creature
si davan convegno. E tutti chiamai
a danza i desideri; e le stagioni
giovani e le notti candide accolsero
le mie confidenze. E, novello prodigo,
ho dato fondo alla mia eredità.
E voi e Dio eravate il mio ininterrotto
rimorso. Non un giorno Egli ha lasciato
d’inseguirmi. E la sera
eran pianti che lavavano i cieli.
Ad ogni creatura adorata
era Lui a rompere l’incanto
col suo tedio dell’Orto.
Lui e voi con la fronte
lavata e col vostro rosario.
Come esprimere un segreto inconfessabile, una vita che non si può condividere, perché stridente con la scala di valori altrui? Come rappresentare l’angoscia del non detto? Turoldo riesce in questa impresa, in versi che culminano in parole apparentemente inaccettabili: “o miei parenti, finalmente / siete morti”. Solo la poesia può permettersi di pronunciare verità interdette alla ragionevolezza mediocre dei luoghi comuni. Qui non c’è, evidentemente, il desiderio della morte dei propri genitori, ma l’urgenza di una verità per troppo tempo sepolta.
“ Le anime dei figli le vedono / dal di dentro, e leggono i giorni nudi /e sanno più che profeti il mistero”: vedere oltre il velo della carne è il privilegio dei morti, più vivi di noi, ormai fuori del labirinto di paure e desideri che impedisce la trasparenza delle relazioni.
“Ed invece il cuore mi urlava dentro /come una selva sotto la bufera, / e il sangue come mare irato”: l’indicibile è il motivo di tanta angoscia, perché condividere è il nostro destino: il dolore non sta nei sentimenti vissuti, ma nel tenerli chiusi in sé, come in una tomba dimenticata da tutti.
“novello prodigo, / ho dato fondo alla mia eredità”: il Vangelo ha una parola per tutto, anche per questo dilapidare il patrimonio della condivisione-comunione.
“E voi e Dio eravate il mio ininterrotto / rimorso”: la vera fonte del dolore è l’appuntamento mancato con la comunicazione, che è anche unificazione del Sé, riconciliazione con la verità, attingibile nella sua pienezza solo al di là dello spazio e del tempo propri dei limiti umani.
Il finale è immerso nella preghiera di Dio e dei propri cari, il grimaldello capace di scassinare la prigione del cuore.
L’angoscia del non detto e del non dicibile si fa urlo, nella speranza che arrivi a squarciare il cielo, affinché un raggio di luce possa finalmente fare capolino.
Bellissimi i versi, ed altrettanto il commento.
"Mi piace""Mi piace"
Versi, moto belli 😍
"Mi piace""Mi piace"
Molto
"Mi piace""Mi piace"
Sentimenti noti che si tramandano identici di padre in figlio.
"Mi piace""Mi piace"