
L’abito su misura è il criterio dei criteri: è inutile crescere secondo una standard, bisogna partire da noi stessi. Dio ci ama come siamo: ama me, te, non un esemplare della specie.
L’abito su misura è il criterio dei criteri: è inutile crescere secondo una standard, bisogna partire da noi stessi. Dio ci ama come siamo: ama me, te, non un esemplare della specie.
Le ‘letture’ di Andrea Sciuto.
Nato in provincia di Bergamo da genitori siciliani, Andrea Sciuto vive tra Catania e Bergamo, dove lavora come insegnante di lettere. Fa parte del Circolo dei Narratori di Bergamo, gruppo di volontari che organizza iniziative di promozione della lettura insieme alle biblioteche pubbliche.
Oggi Andrea legge un brano da Tre uomini in barca di Jerome K. Jerome, cap. 4.
Questo caro sgomento
L’infanzia dalle lunghe calze nere
Logorate ai ginocchi sugli spigoli
Dei banchi, l’infanzia delle preghiere
Assonnate ogni sera, delle nere
Albe dei morti, della litania
Di zoccoli cristiani sul selciato,
L’infanzia che m’ha dato
Questo caro sgomento mio d’esistere…
Continua a leggereL’essere umano è fragile, a qualunque livello si consideri. Anche i santi hanno avuto i loro guai. Questo è fonte di gioia, direi addirittura di allegria: non siamo i detentori dell’ultima parola, grazie a Dio.
da qui
Perché non si crede all’amore? Dio ci dà segni innumerevoli della Sua provvidenza, della cura che arriva al sacrificio di sé. La domanda, forse, va formulata in altro modo: non tanto perché, ma come diventare consapevoli di tanta evidenza.
“Non sapevate voi” – scriveva San Paolo ai Corinti – “che il vostro corpo è il tempio dello spirito santo che è in voi, che avete ricevuto da Dio e che voi non appartenete a voi stessi? Che siete stati comprati a un caro prezzo” (I Cor. 6:15,19,20).
Risorgere dalla nefandezza degli istinti sessuali, portare il corpo a diventare un contenitore di luce, pulito e purificato come porcellana fino a divenire un riflesso interiore di bellezza animato dal cuore e dallo spirito.
Su questo crinale si è mossa la grande ispirazione di Santa Teresa d’Avila dettata da un trascinamento mistico verso Gesù. Costei nella sua vita ha abbandonato tutte le esigenze del suo giovane e avvenente corpo per andare in sposa a Cristo. La sua passione verso Cristo faceva sì che lei abbracciasse la sofferenza tutti i giorni.
Continua a leggereDa dove viene la gioia? Ci illudiamo cercandola qua e là, strappando qualche effimera soddisfazione. Ma la gioia non è auto prodotta, arriva in dono. Può giungere soltanto da chi ne ha in abbondanza e non teme , condividendola, di perderla.
Abito a trenta metri dal suolo
Abito a trenta metri dal suolo
in un casone di periferia
con un terrazzo e doppi ascensori.
Questo era cielo, mi dico attraversato secoli fa
forse da una fila di aironi
con sotto tutta la falconeria
dei Torriani, magari degli Erba
e bei cavalli in riva agli acquitrini.
Questo mio alloggio e altri alloggi
libri stoviglie inquilini
questo era azzurro, era spazio
luogo di nuvole e uccelli.
L’aria è la stessa: è la stessa?
sopravvivere: vivere sopra?
Non so come mi sento agganciato
la sera ha tempo di farsi piú blu
da un pallido re pescatore
o, di passaggio qui in alto,
dal vero barone di Múnchausen.
Continua a leggereSe ci fanno del male, reagiamo male. Questo è l’istinto. Se ci fanno del male, reagiamo bene. Questo è lo spirito. Il tagliando annuale – ma sarebbe meglio giornaliero – dovrebbe concernere questo: sono materia, o materia spiritualizzata? Sono carne o spirito incarnato? Da ciò dipende la qualità del viaggio.
“Cinquantadue anni, ma certi giorni ha cent’anni e certi giorni ne ha dieci. Ha la saggezza di un vecchio capo indiano, ha lo sguardo curioso del bambino, che vuole andare a fondo, scoprire la vita, imparare. Un direttore anomalo, un uomo che ha fatto della verità e della libertà le bandiere sue e del giornale che dirige. I lettori del direttore Antonio Sovesci sanno che lui non li tradirà mai, perché sanno che il direttore Sovesci ha un difetto, un difetto che è in realtà un pregio: non sa o non vuole mentire”.
Continua a leggereRaccontarti a Gesù: sembra strano, finché non lo fai. Davvero potresti interessargli? Che gli importa delle tue quattro cose? Poi ricordi: è morto per me. Per Lui sono importante, se è arrivato a questo. Forse mi tocca rivedere qualcosa di ciò che ho pensato della vita.
Cambiare ditta
Non puoi cambiarti, ma almeno cambia ditta,
Il posto di lavoro è piú che una metà
(Inutilmente resisti) della tua anima:
E quante cose per te cambieranno!
Avranno altri volti e strade le tue mattine,
T’illuderai quasi di aver cambiato città,
Di avere davanti una vita. Un nuovo gergo
Imparerai nelle file dei nuovi conservi:
Ti ci vorranno due mesi per scoprirlo banale.
E poi nuovi padroni, nuove regioni dei tuoi nervi
In evidenza agli uffici del personale,
Nuovi prodotti e una nuova misura
Di quel che è bene e male – ed infine te stesso
Di cui tutti diranno che sei nuovo.
Annuncerai ai lontani la tua novità:
“Questa mia è per dirti che adesso mi trovo…”
Continua a leggereSi può gioire nella sofferenza? A prima vista è impossibile. Siamo sempre propensi al benessere, è la natura che avanza i suoi diritti. Eppure c’è Qualcuno che ha gioito patendo, il Salvatore. Riusciremo a comprenderlo? È qui che si gioca la partita.
Maria Grazia Palazzo è nata nel 1968 a Martina Franca, dopo gli studi classici e di Giurisprudenza ha esercitato per lungo tempo la professione forense. Vive a Monopoli dal 2006 ed a partire dalla seconda laurea in Scienze Religiose (2015) è impegnata nella costruzione di un nuovo percorso lavorativo e creativo. Dal 2014 infatti è mamma adottiva di Amit. Attualmente è insegnante precaria di religione cattolica. Ha esordito in poesia con la sua prima raccolta Azimuth, Lietocolle, 2012. Ha pubblicato di seguito In punta di piedi, Terra d’ulivi, 2017, e nel 2018 il poemetto Andromeda, I Quaderni del Bardo di Stefano Donno. Nel 2020 il suo ultimo lavoro in poesia, Toto Corde è stato pubblicato con La vita Felice. Sta lavorando alla riscrittura di un saggio dal titolo Per un’ermeneutica delle differenze, che tenta di tener conto anche di alcune prospettive degli studi di genere nella teologia delle donne.
Continua a leggereNon diamo peso alle cose di Dio. La benedizione, per esempio, ci scivola addosso come un segno di poca importanza, quasi una superstizione. Eppure per Dio è una cosa grande: Lui benedice sul serio. Ci scopriremo, un giorno, all’altezza di qualche verità?
Da “La corona che non appassisce. L’escatologia nella scultura funeraria dei primi cristiani” di Raffaela Fazio (Contatti, 2020)
Nei primi sarcofagi cristiani [1], come in quelli pagani, i ritratti dei defunti compaiono solitamente al centro, all’interno di un “clipeo” [2]. Questo termine deriva dallo scudo di bronzo usato dai soldati romani, che, secondo la descrizione di Plinio [3], veniva decorato con il ritratto [4] di un antenato e appeso in un tempio o in un altro luogo pubblico. Ma la forma del clipeo usato in ambito funerario non è casuale. Di fatti, tra le figure geometriche, il cerchio [5] è quella che più di ogni altra assume un significato escatologico, in quanto tradizionalmente è simbolo di perfezione, pienezza, eternità. “Dio è per natura circonferenza” diceva Platone [6]. Nelle cosmogonie degli antichi il cerchio era spesso legato al movimento delle stelle. Presso greci e romani, il disco era attributo delle divinità solari. E il sole è di fatti il cerchio per eccellenza, l’ “occhio del mondo”. Nella funeraria pagana, ripresa poi dai cristiani, l’imago clipeata indica quindi che il defunto è ormai inscritto in un’altra dimensione: quella dell’eternità.
Continua a leggereLa gente vuole essere ascoltata. È un’urgenza inalienabile, perché siamo fatti per la relazione. La bontà ha un ingrediente tanto importante quanto difficile da rintracciare: l’arte dell’ascolto, abilità dimenticata.
Ritorniamo sul tema della famiglia. Non si tratta di una predilezione ma della constatazione, fin troppo ovvia, che essa registra i cambiamenti più profondi e significativi della società. L’art. 29 della nostra Costituzione, infatti, la definisce “società naturale.” E la conferma viene dai numerosissimi film che su di essa e sulla sua evoluzione hanno rivolto il proprio occhio indiscreto. Vi ritorna spesso, per esempio, Ferzan Ozpetek, con la sua particolare ma delicata attenzione verso la sessualità. Con La dea fortuna (2019), tuttavia, compie un’opera “ideologica.” La famiglia allargata, anzi a sessualità variabile (lo dico senza alcuna ironia), è la culla dell’amore, in quanto nutrito nella libertà. La famiglia tradizionale è una gabbia, anzi, può essere una vera e propria prigione. Si tratta solo di uno spaccato, si dirà, ma la vocazione universale dell’apologo è palpabile e rovina il film. All’opposto, è “ideologico” anche La comune (2016) di Thomas Vinterberg. Solo che qui è il libero amore a soccombere, soffocato dentro l’insopprimibile e mortifera camicia di forza della necessità sociale.
Continua a leggereda qui