
Cambiare ditta
Non puoi cambiarti, ma almeno cambia ditta,
Il posto di lavoro è piú che una metà
(Inutilmente resisti) della tua anima:
E quante cose per te cambieranno!
Avranno altri volti e strade le tue mattine,
T’illuderai quasi di aver cambiato città,
Di avere davanti una vita. Un nuovo gergo
Imparerai nelle file dei nuovi conservi:
Ti ci vorranno due mesi per scoprirlo banale.
E poi nuovi padroni, nuove regioni dei tuoi nervi
In evidenza agli uffici del personale,
Nuovi prodotti e una nuova misura
Di quel che è bene e male – ed infine te stesso
Di cui tutti diranno che sei nuovo.
Annuncerai ai lontani la tua novità:
“Questa mia è per dirti che adesso mi trovo…”
Giovanni Giudici è un maestro dell’ironia sottile, intelligente, una denuncia non violenta delle contraddizioni della vita. In questi versi rende immortale un male cronico che spesso ci affligge: l’apparente impossibilità di cambiare. Se non possiamo cambiare noi stessi, cambiamo ditta: ciò porterà una serie di trasformazioni che renderanno diverse le nostre giornate e sconvolgeranno le nostre abitudini.
La proposta ottimistica è attraversata da spie linguistiche che ne tradiscono la precarietà: t’illuderai, nelle file dei nuovi conservi, per scoprirlo banale…
La genialità del contrasto ci mette davanti alla nostra coscienza: quanto, anche noi, ci illudiamo, siamo schiavi del sistema, sprofondiamo nella banalità? La poesia orienta il cuore senza forzarlo: qui sta il segreto della sua efficacia.
Ironia sottile e leggera, che al tempo stesso mi appare amara…i versi orientano senza forzare, ma la loro potenza a volte è un pugno nello stomaco, più efficace di discorsi sensati, più convincente di autorevoli enunciati.
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Nuovi padroni saranno sempre in agguato se non saremo in grado di affidare la nostra anima a chi sa custodirla.
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L’ha ripubblicato su La poesia di Fabrizio Bregolie ha commentato:
Condividiamo questa ottima proposta di Lirico-terapia dal blog “La poesia e lo spirito”
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