Alfonso Guida è nato nel 1973 a San Mauro Forte, in Lucania, dove vive. La sua opera prima è Il sogno, la follia, l’altra morte a cura del Laboratorio delle Arti, Milano, seguita dalla plaquette Le spoglie divise (Quindici stanze per Rocco Scotellaro). Suoi versi sono apparsi su diverse riviste e antologie italiane, fra le quali Poesia. Ha approfondito in particolare l’opera di Beppe Salvia, Dario Bellezza, Amelia Rosselli e Paul Celan. Con Poiesis, ha pubblicato nel 2011 la raccolta Il dono dell’occhio e nel 2012 il lungo poema Irpinia. Nel 2013, per Aragno, è uscito il diario in endecasillabi sciolti Ad ogni passo del sempre. Nel 2014 ha pubblicato per LietoColle, L’acqua al cervello è una foglia, raccolta di madrigali dedicati, omaggio a Petrarca, Buonarroti, Pascoli. Nel 2015, per Il Ponte del Sale, Rovigo, pubblica Poesie per Tiziana, il compendio di un’esperienza psichiatrica e psicoanalitica di oltre ottomila versi. La sua ultima raccolta è Il luogo del sigillo del 2017 per Fallone Editore.
Il vento tra le malvarose
Le stringhe di questa stanza che circola
dentro la ferita ma il mare dista e non è una barca.
Scrivevo per curvarmi. C’era la maestria
dell’ubbidienza, la porpora palustre della punizione.
Ora la mente, stupendosi, dice “ora” e un alba
rintocca e cade sulla notte
gialla come la vicinanza
rossa come gli dei della vite.
*
Il borgo decapitato
Attraverso le urla
non si sceglie, dicevi, non si è credibili.
Non si passa urlando il tempo
di attesa o nell’attimo in cui si riceve
qualcuno, nel bisogno
fissato, nell’inizio
controcanto. La polvere insegue le cose
e le cose fanno
misture tra scansie
di valige e uniformi
distese di nebbie. Il lievito, stamattina,
è cresciuto nel catino
sotto una coperta di lana e una di feltro.
Il muratore ha chiamato incenso
lo sperma. Le facce uscite dentro la neve
slittano tra campane e lezioni
conventuali, le grate alle finestre, la nostalgia
dell’abigeato e del mobilio stile
Casa Reale. È caduto un acro
di terra e un piede di cenere tra il muro e le larve
irrequiete, nelle buste, tra le gamelle
annerite e il grigiofumo dei quartieri
d’inverno accerchiati dai bisonti
della tua mente come un fuoco
da alari o ancelle o risvegli
sfiniti. C è più angustia nella stretta,
nelle concamerazioni concentriche e nella clorofilla
stagnante delle dalie. È allora, in quel muoversi di frange ,
che si ostina la ballata
della cella meretricia che cantò il capotreno
di Brianza, una sera di vigilia. Passano
scene di candele, di frittelle, di carne di volpe
coi piombini e il formaggio coi vermi. Sono case
di vichi di grondaia con i tetti embricati di argilla.
I gatti, le sinfonie invernali
di un credo senza discussione, un metodo antico.
La luce rischiarata,
la fine dentro la sua meta, l’ustione gialla
del sapone di lardo e soda caustica. Torna tutto,
smantellato e ricoperto, la vecchia
col bastone nel paiolo, la porta verde
di pioppo di Caterina Tricarico, il dente d alluminio,
gli zoccoli di corda, le trecce
stranite in un vapore di verze e di colombe
tra nicchie e architravi. Una lunga
reciprocità di scale corse in pendenza, le gioie
selvatiche, impaurite
delle capre, il soffio purulento
di una villanella musicata, senza strofe. E il sesso, quieto come la gorgiera
del torrente giù al pascolo. Era un idea di sopravvivenza, erano
le regole arcaiche
di un limite schiuso pendolare – le grotte
col bisogno di significare, essere, con ragguardevole
imposizione, le stalle sul crinale.
La mela e il coltello nel fuoco disegnavano
distanza e prima follia
vagabonda, mia madre, le orazioni della maga orfana.
*
19 gennaio, recita di San Mario
Zappavano il ghiaccio, i sacchi di sale
sui bordi. A tratti, si fermavano, come per appurarsi. Il petto caldo accertava
la presenza di due mondi, gli altri feriti, sterminati. Un gelo crudele, un sorso
nei vasetti di miele color manto roano. S incuteva
lo spavento e l’uomo diventava purpureo. Gli occhi
schivi, l’invocazione alla polvere, imbevuta e risucchiata,
una libbra di segala, una soluzione alcolica. Le resse in un eterno
uscire e le arie
cavernose delle ricorrenze. Stridono
stivali, stazzi lontani. I fienili si procacciano, adusti,
in un tenero vermiglio, in un violento
rubizzo e tutti i toni del rosso spergiurano
La forma sciamanica della richiesta
È un crocicchio di erba vulneraria, i portici
scorrono avvinati, sviliti
tra fantasmi inurbati e muli che succhiano carrube.
Grazie per il bambino
che non seppe dire no alle voci
dei bracchi e del bue colpito
nel cervello, la scure, la scure
infantile e maledetta. “Il porto dei corsari era uno scasso
di vascelli alla frontiera”, diceva così Juri
chiamato Gibellino. Un albero di monete e soldi
di cioccolato. “Nel paese è sempre festa”. Gli altri correvano
ridendo. “Le pietre portate dal mare nei muri
dei magazzini, lì giochiamo”. ( Lo sapevo, non si nominava
mai la mente. Era lo sfondo, un assoluto
appartato. Sereni, in un silenzioso
sacrificio, zappavano il ghiaccio.
Alfonso Guida è un poeta oceanico, Poesie per Tiziana un poema di oltre ottomila versi, scritto in tre mesi. E non si tratta di un’eccezione – per quanto prodigiosa – ma di un modo di essere, di sopravvivere, per questo poeta, letteralmente costretto a scrivere per non annegare nelle parole. Alla vastità e ricchezza della lingua (anche sul piano lessicale, dai termini tecnici ai neologismi) si aggiunge la vastità dello spazio, della geografia poetica, che è sterminata. Include certo il Sud (le grandi mappe di Lucania), Cristo, la Grecia e la Bibbia, i sortilegi di un vivere sotto le unghie delle fate, ma anche le creature sottomarine e i paesaggi polari, l’artico, l’antartico. I capelli di Anna Frank.
La dedizione fa di Guida un poeta irriducibile all’ecumene – in cammino sulla via della guarigione e della comprensione di sé. Più simile a poeti immaginari che a qualunque altro poeta italiano. Dualismo di anima e corpo? Di cervello e mente? Buona parte della sapienza sacra è stata storicamente una forma di dannazione o di santità. O di entrambe. Ma al di là della lettura scientifica o filosofica o religiosa o storico-culturale, letture che si possono legittimamente proporre, resta della poesia di Guida lo strano vigore di una poesia totale, in cui la mente sembra abbracciare nel suo lampo tutto e tutti, persino se stessa, nel rovescio di se stessa.
(Marco Munaro)