Tutto si gioca nel presente: è ora che mi decido per il bene o per il male, per l’odio o per l’amore, la verità o la menzogna. Anche se avessi sbagliato tutto, nella vita, ora posso decidermi per la cosa giusta, per ciò che è all’altezza della mia dignità. Entriamo nell’ora, scopriamo un mondo riempito di Cristo.
Vogliamo i frutti senza seminare: non preghiamo, ma pretendiamo di cambiare. Non ci pentiamo, ma esigiamo lo Spirito. Siamo ragionevoli, ma non sull’essenziale, dove è in gioco la vita.
Se ti senti felice, sappi che è opera dello Spirito Santo. Dio ci ha creati per la felicità e per il bene: non dev’esserci un motivo per essere felici. È una cosa che accade, come il merlo che si ferma alla finestra, o il sorriso di un bambino sconosciuto. Cerchiamo la felicità inseguendo obiettivi, progettando successi: nessuno ci ha insegnato che si è felici per un dono imprevisto, qualcosa di gratuito. Quando il cuore è, come in origine, un paradiso terrestre, niente può turbarlo. La felicità non proviene dal fare: un uomo, una donna, ridotti all’immobilità, non potrebbero conoscerla. Ma esistono persone impedite nel fare più felici dei cosiddetti sani. Finché non approdiamo a questa verità, ci dibattiamo in quelli che san Paolo classificava come pensieri iniqui. I Padri sapevano che basta poco per essere felici, e basta poco per essere tristi, perché la vita dipende dai pensieri. Chiediamo in dono la risposta giusta alla domanda che sta dietro a ogni pensiero: sei dei nostri o sei del nemico? Se, ignorando i pensieri iniqui, riaffiora la felicità, ringraziamo il donatore.
Gavin Bryars s’imbatte, a Londra, in un barbone che mastica continuamente queste parole: il sangue di Gesù non mi ha mai tradito. E tira fuori questa cosa qui:
Una sola cosa è necessaria: dovremmo far nostre le parole che Gesù rivolge a Marta. Solo in questa convergenza di tutto nell’unica realtà che conta troviamo la nostra identità. Chi non raccoglie con me, disperde: il Vangelo ha spiegato come stanno le cose.
Prima o poi si comprende l’importanza della purificazione. Il giudaismo ne aveva fatto una bandiera, raggiungendo note parossistiche e per noi inaccettabili. Gesù ricorda che è amando Lui che si attua in noi quest’opera. È la vita che s’incarica di smaltire i residui della morte.
Ci lamentiamo dell’immaginazione, che tende a distrarci, ma non dobbiamo darle peso: c’è un Centro che ci attrae, ed è più forte. Siamo luogo d’incontro tra forze centrifughe e centripete: chi prevarrà?
anche al secondo tampone sono risultato positivo. Il Signore mi affida questo eremitaggio, desidera che in questo isolamento mi dedichi a qualcosa a cui Lui tiene. Ho parlato a lungo del progetto che il Padre ha su ciascuno di noi. C’è uno scavo ulteriore, in questi giorni, per quanto mi riguarda. Viviamo in un’epoca difficile: per il mondo, per la Chiesa. Pochi hanno il coraggio di porsi in ascolto della verità, e di annunciarla così come la sentono nell’intimo. Il mondo occidentale è pervaso dalle logiche ferree del mercato. La religione più diffusa è quella della merce, di qualsiasi natura essa sia. I pensieri quotidiani si rivolgono a prodotti proposti dalla pubblicità, fosse pure l’ultimo modello di mascherina o igienizzante. Lo stile di vita è appiattito sui target veicolati dai mezzi di comunicazione sociale, dalle parole d’ordine prefabbricate. Il silenzio è una realtà sconosciuta, anzi temuta: siamo diffidenti di fronte a ciò che emerge dal profondo, preferendo gli slogan rassicuranti delle agenzie di turno, dalla sapienza di plastica e priva di attriti. Ossessionati dall’imperativo ecologico, non siamo più in grado di stupirci davanti a un’alba o a un tramonto: rientreremmo in noi stessi, suscitando domande imbarazzanti. La rapidità, lo stress, il fare per il fare, sono i nostri compagni di cammino: ci sentiamo in colpa se non leggiamo subito un messaggio, se non rispondiamo a una mail in tempi brevi; ci sembra di essere perduti se non siamo connessi a qualche rete. Questi giorni di positività al coronavirus si trasformano nella profezia della lentezza e del silenzio, diventano un appello non soltanto per me, ma anche per chi leggerà queste parole, che scrivo guardando, dalla mia finestra, la grotta di Elia, il profeta della voce di silenzio sottile, con la quale Dio parla a chi si lascia fermare per rimettere in moto la sua vita. Grazie ancora per i vostri messaggi: rispondo da qui, a ciascuno di voi, con un immenso grazie.
Duri con noi stessi e dolci con gli altri: una norma da non dimenticare. Di noi sappiamo poco, degli altri nulla. Bisogna che lo Spirito faccia il suo lavoro, nonostante noi: che faccia udire i suoi gemiti, inesprimibili a parole.
Gesù ci vuole semplici, come fossimo in famiglia. Possiamo riuscirci, se ci fondiamo su di Lui come la roccia della nostra vita, se siamo convinti che, senza questo appoggio, il tempo ci spazza via senza pietà.
Quante grazie può darci il Signore? Infinite, perché Lui è infinito. Per questo non dobbiamo scoraggiarci, anche se tutto andasse male: in un istante ci ristabilisce, ci rende più forti di prima.
Cerchiamo inconsciamente la bellezza, siamo fatti per questo. La sfiducia, la tristezza, la disperazione, si fanno strada quando ci si accorge che non è semplice trovarla. Si sperimentano bellezze che non nutrono, che anzi avvelenano. Finché non si scopre che la bellezza e la grazia sono in Cristo: è Lui che trasfigura un mondo corrotto dal peccato.
[Traduzione. La gabbia del leone era di aria, / di aria la mia mamma, quel cappello, / il braccio di mio padre era di aria / sulla mia spalla, le mie mani che stringono, / e aria il ridere degli occhi e dolce d’aria / di quella vita, di cui ho sognato, l’acerbo. / Erano d’aria loro, e io, chissà, / che sono stato fermo a guardarli andare].
da Antologia della poesia italiana, Einaudi, diretta da Cesare Segre e Carlo Ossola, Novecento, volume secondo.
Siamo una sola cosa con Gesù: non dobbiamo meravigliarci se ci guida, se ci parla interiormente, se provvede a noi nei modi più impensabili. Lui ha un piano: dobbiamo fidarci dei Suoi passi, delle Sue misteriose strategie.