
Seguo Yari Selvetella da quindici anni e ogni libro, ogni intervista non è “solo” una lettura, ma un’esperienza. Il suo ultimo romanzo, Le regole degli amanti (Bompiani, 2020), è stato la mia ultima lettura dell’anno e mi ha messo a confronto con me stessa e con l’idea di amore, di relazione, che ho, che abbiamo più o meno tutti, lasciandomi tanti interrogativi. Alcune di quelle domande sono state oggetto di questa intervista, in cui parliamo sì, di amore, ma anche di scrittura, lettura, necessità e futuro.
Mia mamma dice sempre: “Tanto prima o poi l’amante diventa come il marito”. Mi ha sempre colpito l’evoluzione nel rapporto fra coppie clandestine, che tu hai reso alla perfezione, in questo rapporto fra Iole e Sandro che, contrariamente a quanto si immagina quando si pensa agli amanti, dura trent’anni. Attraversano infatti un primo periodo 100% passione, poi complicità intellettuale, fino a implicazioni più “terrene” e non sempre entusiasmanti. Come hai immaginato il cammino di questa coppia?
Mi pare che in questo periodo gli scrittori si preoccupino molto di proteggere le loro storie, per così dire, con degli scudi. Utilizziamo degli elementi e degli stratagemmi sottilmente ricattatori nei confronti del lettore. Me ne sono accorto dopo aver pubblicato Le stanze dell’addio. In quel caso il protagonista, proprio come il suo autore, era un vedovo, e questo generava nel lettore una serie di reazioni più o meno consapevoli. Ora, siccome in Italia i romanzi spesso si dividono in quelli che bisogna avere coraggio e argomenti per criticare e quelli che hanno bisogno di coraggio e argomenti per essere segnalati al pubblico e difesi, mi sembra che l’elemento del lutto abbia sospinto il mio romanzo nella prima categoria. Ma non perché io ritenga Le stanze dell’addio poco riuscito, al contrario lo considero migliore di quello che si pensi, ma migliore – se posso dire – per motivi diversi, che non riguardano la mia storia personale. Insomma a un certo punto in quei panni mi sono sentito a disagio e così ho deciso che stavolta volevo scrivere un romanzo con dei protagonisti dai comportamenti opinabili. E ho pensato agli amanti.
Ovviamente anche a un argomento del genere, così esplorato, ci si può avvicinare accarezzando il lettore e cioè, fondamentalmente, occupandosi del senso di colpa, del tema morale del tradimento e così via. Invece no, mi sono detto, voglio proprio vedere se la mia scrittura tiene la storia di due benestanti che se la spassano in barba alle rispettive famiglie, che viaggiano, leggono, mangiano spaghetti in riva al mare e bevono vino bianco fresco come in una canzone di Paolo Conte. Oggi più che opinioni si cercano pacche sulle spalle. Questo atteggiamento, però, anziché in un autentico impegno si traduce più spesso in un certo conformismo. Il pubblico gradisce, più o meno, poi fagocita e dimentica. Ho pensato che forse potevo mettermi un po’ di traverso. E insomma inizio a scrivere questo romanzo e mi capita qualcosa che non mi aspettavo. E cioè che di questi due mascalzoni, Iole e Sandro, finisco un po’ per innamorarmi, come di quei vecchi amici che si mettono sempre nei guai. Così li ho accompagnati, passo passo, nella loro lunga storia, li ho letti, tra torti e dolori, tra gioie e ragioni.