
Ho conosciuto il nome Paris nell’ultima traversina acciottolata dello Zorio, vicolo Carducci, a Casalvecchio, scorgendo il nome, prima ancora di leggerlo, accanto alla Torre ne L’Almanach de L’Humanité, uno dei doni dello zio Nino, lo zio francese, a mio padre.
Poi lo sentii riecheggiare, il nome Paris, all’ora di cena, ancora nella luce dell’eterna estate del paese, alla radio, con Toujours Paris, col “Miei cari amici vicini e lontani, buonasera ovunque voi siate” di Nunzio Filocamo – ed erano poi le voci di Edith Piaf, di Leo Ferré, di Gilbert Becaud, di Yves Montand, Charles Aznavour, Charles Trenet, Juliette Greco, fino all’immenso Maurice Chevalier (gran bonario protagonista del film Jessica nella dirimpettaia “Forzadàgro”), fra i più amati da mio padre, a trasformare il vicolo, per quell’altrove aperto come la nostra valle panoramica, in un altrove in cui eravamo di casa, freneticamente e amabilmente cantato, per ipotetici immensi viali.
Dalla Francia, che per noi era in fondo solo una grande disseminazione di Paris, zio Nino portava in dono profumi, pain d’épices, gauloises, e il racconto delle lotte, troppo presto lasciate in Italia, dai tempi dell’Unità clandestinamente diffusa nelle fodere dei cappotti dell’amico sarto, quel Nino Aveni nella cui bottega si riuniva la cellula del soldino (era il codice usato nelle passeggiate serali a Messina, nelle ombre di Piazza Cairoli).
Certo, zio Nino appariva ormai francese in tante cose, ma anni dopo dovetti ricredermi: lo zio passava le serate con Verdi, Rossini, Bellini, Donizetti, Mascagni, Leoncavallo… Sicché avrà riso, sornione, della nostra passione per la lontana Paris musicale, coltivata in un lontano vicolo panoramico dello Zorio.
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