l’italia ha il mal di stomaco
somiglia all’impiegato che non si ribella
al suo capo velleitario e meschino
e quando torna a caso vomita il suo dolore
nel lavandino.
l’italia ha il mal di stomaco
somiglia all’impiegato che non si ribella
al suo capo velleitario e meschino
e quando torna a caso vomita il suo dolore
nel lavandino.
Sia chiaro, galleggeremo nel nulla. Ora siamo qui, la vita mostra di reggerci, ma è un filo sottilissimo e non sente se c’è sopra un elefante o una formica. Intanto salutiamoci. La vita ci rende guardinghi, ingenerosi. Invece bisogna dire dopo un giorno di confidenze: eccomi di nuovo qua. La vita ci fa vacillare, e ci chiama a rimbalzare da un attimo all’altro senza riparo. Altrimenti rifluisce nel suo buco convenzionale, buco che non si chiude mai.
L’abbraccio è il nostro segno della croce, a un soffio dalla solitudine mortale in cui operiamo. Chi non ama questo segno ci può essere anche utile a volte, ma non per noi.
La spaventosa, l’irrimediabile scomparsa possiamo vincerla solo qui, solo adesso, con gli occhi allungati fino la midollo per cercare il pane più chiaro dell’essere. Questo lavoro è un andare via dal mondo e dall’umano. Oltre il corpo, oltre il cuore. Non stiamo insieme per divertirci, o per sedurci. Bisogna che si sprigioni da noi una sorta di stupore leggero.
Dio verrà a trovarci nel momento in cui prendiamo a calci questi cani di gesso, questi pagliacci che hanno sempre il muso per terra. In un certo senso noi dobbiamo buttare all’aria la nostra vita. Come coriandoli. Dobbiamo stare attenti. Ancora qualche indugio e non riusciremo più a strapparci da noi stessi.
nessuno di niente e di nessuno
è pago,
ognuno è sparso a infilare
la cruna del suo ago.
nessun io fa miracoli.
lavoratori del nulla uniamoci!
sto qui da stamattina
sotto il muro della rete.
è il mio muro del pianto.
non sto pregando dio
mi sto sbagliando:
questo è il muro del vanto.
*
Qui la fine della primavera e la fine dell’inverno sono piú o meno la stessa cosa. Il segnale sono le prime rose. Ne ho vista una mentre mi portavano nell’ambulanza. Ho chiuso gli occhi pensando a questa rosa mentre davanti l’autista e l’infermiera parlavano di un ristorante nuovo dove ti fanno abbuffare e si spende pochissimo. Continua a leggere
1.
Il corpo sa tutto o quasi
Il corpo conosce l’acqua perché la beve
conosce l’aria perché la respira
il corpo conosce i baci che dà e riceve.
Molta fatica fa con le parole
che ascolta o dice,
lì si confonde
tra linfa e parassita, tra la chioma
e la radice.
gli altri si fanno sempre più ignoti
la vita ci sarà sempre straniera
pure nell’attimo più nero
o nella più scialba cena.
è così e andiamo avanti,
doniamo le nostre vertebre
ai passanti.
nuvole inerti
sul mio paese
ma un peso grande sul mio petto
è il tuo dolore che preme
da lontano
e il mio che è sempre qui
a portata di mano.
sento il fallimento della mia vita
l’orrore di dissanguarsi
senza neppure una ferita.
bicicletta e telefonino,
oggi scatto foto al paese nuovo,
scatto e pedalo
ascolto se mi arriva
pure qualche voce.
ho in gola la lieve amarezza
dell’estate che volge alla fine
ma scatto e pedalo
qui dove il disastro del mio cuore
si sposa col cuore del disastro
e andiamo avanti
mentre la luce scema
e il telefonino ormai pesca solo ombra,
ecco, l’ultimo scatto è nero,
fuori dal disastro c’è solo la prima stella
che appare in cielo.
se incontrate qualcuno potete star sicuri
che si sente solo, smarrito e stanco.
non v’illudete, quello è uno come voi,
un compagno di banco.
la gravità trascina tutti verso il basso.
l’incuria e lo scoramento raggiungono punte
del novantasei per cento.
Il mio corpo vuole l’infinito,
vuole uscire dal confine
della carne,
vuole fare la vita che fa il tuo corpo
quando piange.
via orologio vecchio era molto lunga.
chi abitava all’inizio vedeva il tramonto
molto prima di quelli che lo vedevano alla fine.
la merda degli asini si raccoglieva
nella curva dove i ragazzi giocavano a pallone.
facevamo sul serio allora,
ci riempivano anche le vene di sudore. Continua a leggere
il vento soffia
per un anno intero.
in mezzo ai sassi e ai cardi
fragole di cimitero.
la nostra terra è chiusa in mezzo ai monti.
l’amore che ci diamo non è per noi,
è un regalo che facciamo al vento,
agli animali,
al grano che cresce sull’altura,
agli sconosciuti che di notte
mentre dormiamo
ci stringono la mano.
il poeta, se ce n’è mai stato uno,
non sa niente
non vuole niente
non dice niente
non capisce niente
non trova niente
non sente niente.
il poeta, se ce n’è mai stato uno,
non l’ha creato dio,
era qui prima di adamo e prima di eva,
era qui da solo
e così è rimasto,
anche se poi è arrivata tante gente
per lui non è cambiato niente.
oggi c’era poco io nel mio corpo
e poco mondo
non c’era quasi niente
a parte un po’ di sonno.
dopo che mi sono svegliato
dopo che ho cenato
mi sono accorto
che c’era nuovamente
troppo io nel mio corpo
troppo mondo.
l’inferno esiste
e gira per il mondo.
adesso è fermo ad haiti
dove è già stato molte volte.
scavate pure, non troverete niente
in quel che avete sotto.
dove non c’è l’inferno
il mondo è morto.
le cose migliori che facciamo per gli uomini
sono quelle non rivolte a loro,
ma a qualche dio nascosto.
stare al mondo insieme agli altri
ma pensando ad altro
a un’invisibile immensità
fuori dalle stelle e da tutti gli universi.
il gesto più semplice e comune
il gesto che ci pò medicare
è stare fuori da ogni commercio
con gli uomini, non aspettarci niente
da noi e da loro.
essere fuori da ogni scopo
essere niente questo è il tesoro.
da tempo non ti scrivo versi
è segno che non sei più
un fantasma
e la tua carne organizza cortei
assemblee nella mia carne.
libertà e passione
innocenza e furore
tu sei il 14 luglio
del mio cuore.