Recensione di Marco Denti
AA.VV., Qui giace un poeta. 60 visite a tombe d’artista (ed. Jimenez, 2020)
Di questi tempi, il mio sogno è tornare a bermi una birra a Sant’Ampelio, che è solo uno scoglio che si infila nel mare in fondo alla promenade di Bordighera. Non che abbia niente di speciale, ma lì, una volta, ho rubato una stella marina, ed è stato il punto di partenza per le mie ricognizioni nelle piccole valli dell’immediato entroterra della provincia di Imperia, a due passi dal confine con la Francia. Un gruppo di amici mi ha guidato alla scoperta dei luoghi raccontati da Francesco Biamonti, un narratore originale, fuori dalla cerchia accademica e anche dai circuiti editoriali (per quanto abbia pubblicato con Giulio Einaudi) che aveva un rapporto speciale con la scrittura. Diceva infatti che “scrivere è circoscrivere un’emozione, sognarne qualche altra omologa a quelle della vita”, e lasciava intendere che c’è sempre una possibilità perché “tutto va in polvere, anche la poesia andrà in polvere, però un po’ di luce la fa. Non è che salvi il mondo, ma almeno illumina un pochino”. La luce era importante fin dall’esordio, L’angelo di Avrigue, voluto da Italo Calvino, che apriva la porta a uno stile insieme grezzo e raffinatissimo. Tempo fa, mentre trascrivevo parti dei suoi romanzi da leggere nel corso di un omaggio, il correttore ortografico del computer mi segnava intere frasi, perché la sua è una lingua parlata a bassa voce, ma singolare, colorita e molto sanguigna.
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