di Antonio Sparzani
Dev’essere quando viene su un bel vento gagliardo e le onde formano quelle creste bianche spumose, che si immagina un dilagante sorriso, tanto che la letteratura ne è così variamente costellata. Prendete ad esempio una delle più intense tragedie di Eschilo, Il prometeo legato, nel quale si narra con grande forza drammatica la pena che Prometeo deve subire per aver regalato il fuoco all’umanità: l’essere legato ad una rupe della lontana Scizia con un’aquila che gli rode il fegato ogni giorno. L’entrata in scena di Prometeo, dopo che è stato assicurato alla roccia da Efesto, che esegue gli ordini di suo padre Zeus, comincia così:
ὦ δῖος αἰθὴρ καὶ ταχύπτεροι πνοαί,
ποταμῶν τε πηγαί, ποντίων τε κυμάτων
ἀνήριθμον γέλασμα, παμμῆτόρ τε γῆ,
καὶ τὸν πανόπτην κύκλον ἡλίου καλῶ.
ἴδεσθέ μ᾽ οἷα πρὸς θεῶν πάσχω θεός.
Ovvero:
O volta del cielo splendente e venti dalle rapide ali, sorgenti dei fiumi, sorriso infinito di onde marine – e terra, che d’ogni cosa sei madre e sole, occhio onniveggente io vi supplico, guardate quali dolori soffro per opera degli dèi, io, che pure sono un dio. [vv. 88-92]. Continua a leggere