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La quasi recente fortuna di Charles Bukowski, pur in assenza (diciamolo, infine!) di un’autentica qualità letteraria, mi sembra apparentarlo a Jack Kerouac, cioè a un genere di scrittori che illustrano il “momento”, cioè interpretano, coscientemente o meno, un desiderio, quasi sempre giovanile, di disordine, non necessariamente violento ma proprio della violenza, assai borderline, per quanto c’è di potenziale, di a stento trattenuto, e che non può non interessare una nuova generazione o anche una “vecchia”, come in parte è avvenuto proprio con Bukowski, nostalgica dei “tempi di Kerouac”, divenuti mitici soprattutto per chi, all’epoca, non vi ha partecipato davvero (ed è quindi sopravvissuto!).