di
Maria Frasson
(puntate precedenti: I, II, III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIII, XIV, XV, XVI, XVII, XVIII, XIX, XX, XXI, XXII, XXIII, XXIV, XXV, XXVI, XXVII, XXVIII)
“Audaces fortuna iuvat”
che non è sempre vero.
Mario comunque camminava sul filo di un rasoio. I suoi ricoverati non erano molti e generalmente non gravi. Se qualcuno era tale, veniva trasferito nei vari reparti del Policlinico debitamente attrezzati. Alcuni degenti erano partigiani scampati alla cattura, per i quali il medico vietava visite inopportune, altri erano per lo più innocui militi dell’Esercito Repubblichino di Salò, fra i quali tuttavia si annidavano delle spie, o accertate o probabili, secondo il sempre attivo servizio informazioni OI 40. Mario era per tutti il medico che cura il malato.
Al momento del ricovero, venivano tutti invitati a togliersi la divisa e a deporre le armi, con la promessa che sarebbero state loro restituite al momento del congedo. Nell’attesa invece venivano dirottate in uno sgabuzzino segreto nei vasti sotterranei del Policlinico, oppure nelle cantine della nostra parrocchia di S. Francesco. Il vice-parroco era un animoso giovane affiliato alle organizzazioni segrete: Mario lo aveva voluto come cappellano militare per il suo ospedale; l’anziano parroco era al corrente di tutto e consentiva in silenzio. Continua a leggere